CUM NE PREGATIN NOI DE REFERENDUM???

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mercoledì 5 ottobre 2011

A. Basciani, La difficile unione. La Bessarabia e la Grande Romania 1918-1940, prefazione di K. Hitchins, Aracne, Roma 2007 (Giacomo Brucciani)

Con questa seconda edizione della sua ricerca, ampliata e rivista, Alberto Basciani si consolida, nel panorama accademico ed editoriale italiano, come esperto di storia dell’Europa orientale nonché di storia delle zone periferiche europee. Al centro degli interessi dell’autore troviamo la storia della Romania nel periodo interbellico. Egli ha scelto un metodo particolarmente convincente per studiare le complesse vicende interne e internazionali di questo paese: ricercare le radici di crisi politiche e istituzionali attraverso lo studio delle tensioni anche sociali emerse in una regione di frontiera quale è la Bessarabia. Lo stesso metodo era già stato utilizzato positivamente nella monografia del 2001 dedicata alla Dobrugia del sud e alle tensioni tra Romania e Bulgaria. Parlare di “zone periferiche” e di “zone di frontiera” significa riferirsi al concetto dualistico di centro-periferia nato in sede storiografica negli anni Settanta del Novecento. Nella storiografia relativa all'età moderna e contemporanea il concetto di centro-periferia compare soprattutto nell'esame della vita economica. In questo particolare settore di studio esso sta a significare l'esistenza di aree collegate da relazioni di scambio, favorevoli all'una e svantaggiose all'altra, all'interno di un sistema economico o economia-mondo. Questa terminologia è adoperata, prima di tutto, per descrivere le relazioni economiche fra aree sviluppate e sottosviluppate nel capitalismo contemporaneo. Si afferma in particolare presso economisti e storici di orientamento marxista come una reazione contro l'interpretazione classica (soprattutto ricardiana) e neoclassica degli scambi internazionali. Tale approccio metodologico tende a sottolineare la conflittualità, anziché l'armonia, nei rapporti fra economie nell'epoca dell'imperialismo: formazioni tributarie (la periferia) e formazioni dominanti (il centro) collegate da rapporti di “scambio ineguale”. È in questo senso che va letta la ricerca di Basciani. Essa, come puntualmente sottolinea Keith Hitchins nella “Prefazione” è incentrata su tre questioni principali: “la Bessarabia provincia della Russia zarista; l’integrazione della provincia nella Grande Romania e, infine, la Bessarabia quale fonte permanente di tensione tra la Russia prima e l’Unione sovietica dopo nei confronti della Romania” (p. 1). Tale provincia era stata ottenuta dalla Russia zarista, la quale aveva avviato una politica di sistematica denazionalizzazione, a scapito dell’Impero ottomano e del principato di Moldavia nel 1812. Nel 1918 è stata poi annessa alla Romania. La Bessarabia, ancora nei primi decenni del Novecento, è una provincia fortemente agricola, arretrata e costretta a sopportare la colonizzazione romena. L’enorme pressione fiscale e la prepotenza del clero ortodosso contribuiscono a segnarne le condizioni sociali. Le autorità romene dal 1918 ignorano sistematicamente le autonomie locali e mettono in opera un vero e proprio programma di assimilazione che passa anche attraverso l’edificazione di scuole come luoghi dai cui far partire una politica linguistica forte e intransigente. In questo contesto è interessante sottolineare l’esperienza dello Sfatul Ţării tra il 1917 e il 1918 alla quale Basciani dedica un intero paragrafo al termine del primo capitolo e torna anche nella parte dedicata alla violenza antiromena. Un esempio chiaro dell’attrito tra la zona periferica e il centro del potere (Bucarest) lo si trova alle pp. 122-123:
Nella struttura amministrativa romena, ispirata al modello centralizzato, non esisteva il concetto di regione e di conseguenza neppure quello di capitale regionale tuttavia Chişinău, il principale centro abitato e sede di importanti uffici, scuole e attività economiche continuò a giocare, come al tempo del dominio russo, il ruolo di centro nevralgico e capitale morale della regione.
Tuttavia i dirigenti politici della capitale romena sarebbero riusciti a porre fine all’esperienza della cosiddetta “autonomia provvisoria” della Bessarabia. La narrazione di Basciani, che si sofferma con chiarezza e meticolosità su ogni aspetto della vita sociale e politica della provincia, non trascura affatto il contesto internazionale. Frequenti e accurati sono i riferimenti e i paragrafi dedicati alle vicende politiche che vedono l’Unione sovietica impegnata nel tentativo di riappropriarsi della provincia. La politica sovietica attraverso il Komintern cerca di destabilizzare sia gli assetti politici delle potenze europee sia l’equilibrio internazionale sancito dai trattati del 1919: i dirigenti sovietici perseguivano in sostanza la politica di espansione verso i Balcani della vecchia Russia zarista. L’Urss, due decenni più tardi, seguendo gli accordi contenuti nel protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop, dopo l’ultimatum del 26 giugno 1940, avrebbe riottenuto la Bessarabia. Altrettanto precisi sono i paragrafi dedicati alla politica culturale di Bucarest intrecciata saldamente alla questione nazionale che, a partire dagli anni Trenta, avrebbe necessariamente risentito dello slittamento ideologico verso destra. L’autore inserisce, inoltre, la testimonianza dell’addetto militare italiano in Romania, colonnello Enrico Baffigi, che si riferisce alle difficoltà dell’amministrazione romena di far presa sulla società bessarabena.
La monografia di Alberto Basciani, suddivisa in una introduzione e quattro capitoli, è dunque senza dubbio un contributo assai valido per lo studio della vita politica della Grande Romania, nonché uno studio che permette di confrontarsi con quel fenomeno che investe l’Europa tutta tra gli anni Venti e Trenta del Novecento e che vede concretizzarsi la crisi della democrazia e l’affermarsi di regimi autoritari e antisemiti, nei cui programmi politici trovano spazio politiche razziste, di assimilazione e di violazione delle autonomie. Un esempio dell’atteggiamento antisemita delle autorità romene è il sospetto con cui queste guardavano alla comunità ebraica della regione (per altro molto nutrita). Al termine del volume si trova la sezione dedicata alle fonti archivistiche e bibliografiche utilizzate dall’autore. Esse si ritrovano puntualmente nel corpo del testo e non fanno altro che confermare la solidità della ricerca

http://www.esamizdat.it/rivista/2007/3/recensioni/brucciani1.htm

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